Pubblico un editoriale di Concita De Gregorio, direttore dell’Unità, un articolo tagliente, ma che riassume in modo chiaro in quale situazione siamo.
Le vanita’ inessenziali
Alfredo Reichlin, 85 anni, condivide lo stato d’animo dei più giovani e appassionati tra i nostri lettori i quali – una moltitudine – ci hanno scritto negli ultimi due giorni per chiedere, direbbe Benigni in altri termini, “cosa diavolo sta succedendo” e soprattutto perchè. Reichlin si dice “sorpreso, preoccupato, allibito”. Chiede “su cosa ci dividiamo? Sulle ambizioni personali?”. Quindi ci consegna una lunga riflessione, che trovate integrale nel giornale on line.
Inizia così: «Siamo entrati in una fase politica nuova e molto delicata che può riaprire la strada a una svolta democratica, ma può spingere le forze più reazionarie all’avventura. E’ in gioco la speranza che l’Italia resti una repubblica unita e una democrazia parlamentare mentre, dal fondo limaccioso del Paese, tornano a emergere tentazioni di tipo peronista. Io non so come andrà a finire. So, però, che è troppo grande lo scarto tra i rischi di disgregazione della compagine italiana e la debolezza della politica… Pesa non poco la vanità e l’inconcludenza di tanta parte delle polemiche che lacerano la sinistra».
La vanità e l’inconcludenza. Nemmeno io so come andrà a finire: se l’Italia resterà una repubblica unita e democratica o se la cricca dei corruttori e la “maggioranza sonnambula” di cui parla oggi Goffredo Fofi la consegnerà a un destino di melmosa tirannica decadenza dalla quale, in altri tempi, solo una guerra avrebbe potuto riscattarla. So però che se questo accadesse – se davvero ancora una volta non trovassimo un antidoto al grande banchetto finale così chiaramente annunciato – gran parte della responsabilità sarebbe di quella vanità e di quell’inconcludenza. Della sinistra, in una parola. Dell’opposizione che di fronte a un momento che la storia – quella scritta sui libri – definirà in forma postuma cruciale e decisivo, non ha saputo far meglio che consumare fino in fondo i suoi privati rancori, i suoi risentimenti. Vengo da due giorni trascorsi in Emilia. Teatri, piazze, persone. Volti e mani di gente che racconta storie di vita: la scuola a pezzi, la distruzione del sapere, il lavoro soggetto a ricatti, miserie e tragedie quotidiane, inciviltà di ritorno persino nei rapporti familiari, fra generazioni e fra generi, fra persone. La soglia di pericolo è tangibile. L’Italia sta cambiando, è cambiata già.
La pazienza è finita, l’esasperazione è cresciuta, la tensione è sul punto di esplodere. Fra chi ancora reagisce, certo. La maggioranza sonnambula è già in sonno da molto: il risultato di un lavoro certosino dei maestri dell’ipnosi. C’è anche però un residuo di speranza. C’è, si sente: si vede negli occhi di chi si avvicina e chiede “che possiamo fare?”. E’ a queste persone che bisogna rispondere: farlo adesso. Leggete i nostri servizi sulla scuola: i nuovi schiavi pronti a lavorare gratis nelle private pur di avere punteggio, i maestri delle elementari soppresse che fanno lezione a casa. Qual è il punto, nello scontro a sinistra? Davvero le candidature alle prossime politiche, i criteri con cui saranno scelti gli eletti?
E allora vedete quanto la nostra proposta di farli scegliere ai cittadini, i candidati, il nostro suggerimento per le primarie di collegio tocchi il nervo scoperto? Coraggio. Ritrovate la voce. E’ questo il momento di dire basta. Non saranno i giornali e nemmeno le tv a cambiare il corso delle cose: se ne sarete capaci, sarete voi.

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