Le prospettive dell’efficienza energetica al 2020 in Italia: analisi della proposta di Confindustria

(Andrea Barbabella – Fondazione Sviluppo Sostenibile – http://www.nextville.it/scenari/18)

 

Nel settembre di quest’anno Confindustria ha presentato un documento di analisi e proposte per un piano straordinario sull’efficienza energetica in Italia, che dovrebbe integrare il Piano d’Azione per l’Efficienza Energetica del 2007 (PAEE) in funzione degli obiettivi di risparmio energetico al 2020.

Lo studio conferma innanzitutto come gli investimenti nella promozione di tecnologie e misure per l’efficienza energetica presentino un saldo positivo, anche in termini strettamente economici. Secondo le stime di Confindustria la realizzazione delle iniziative contenute nel documento porterebbe tra il 2010 e il 2020 a un aumento della produzione industriale di 238 miliardi di euro e oltre 1,6 milioni di nuovi posti di lavoro (unità di lavoro standard): questo a fronte di circa 24 miliardi di euro di incentivi da parte dello Stato, che sarebbero ampiamente compensati dai risparmi derivanti dalla riduzione della bolletta energetica e dall’acquisto evitato di crediti di carbonio. 

Oltre a questo risultato di carattere generale, il lavoro di Confindustria è ricco di spunti e informazioni utili ad alimentare l’attuale dibattito sulla transizione verso un sistema energetico sostenibile in Italia. Di seguito si affrontano tre aspetti toccati dal documento, e che possono essere condensati in altrettanti interrogativi, tra di loro direttamente connessi: qual è l’obiettivo nazionale in materia di efficienza energetica al 2020? A carico di chi? E con quali costi?

L’obiettivo di risparmio al 2020

A differenza delle fonti rinnovabili e delle emissioni serra, nell’ambito della strategia energetica/climatica definita dall’Unione Europea con orizzonte al 2020, il target sull’efficienza non è ancora stato reso vincolante né è stato ripartito tra gli Stati membri secondo i classici meccanismi del burden sharing. Attualmente ogni Stato Membro può quindi applicare volontariamente a scala nazionale il criterio fissato a livello europeo, che prevede una riduzione del 20% al 2020 dei consumi energetici tendenziali, calcolati su base 2005: facendo riferimento allo studio Primes del 2007, per l’Italia questi sono stati stimati in 166,5 Mtep (usi finali). L’applicazione del criterio europeo si traduce quindi in una riduzione di 33 Mtep rispetto ai consumi finali attesi al 2020, che dovrebbero attestarsi pertanto a 133 Mtep. Questo valore è stato recentemente confermato dallo Piano d’Azione Nazionale per le Energie Rinnovabili del giugno 2010 (PAER). Confindustria propone uno scenario efficiente con consumi maggiori, anche se di poco: 135,8 Mtep al 2020. Si tratterebbe quindi di mettere in campo tra il 2005 e il 2020 misure di efficienza in grado di portare ad una riduzione dei consumi finali all’incirca compresa tra 31 e 33 Mtep. Questo naturalmente al netto della crisi economica.

La cosa che più colpisce osservando l’andamento dei consumi finali di energia in Italia, è la netta inversione di tendenza a partire dal 2005. Questa data è peraltro indicata da alcuni autori come quella in cui le politiche di efficienza nazionali hanno iniziato a funzionare più o meno a regime. Solo due anni più tardi gli effetti della crisi si sarebbero fatti sentire sulla crescita del PIL (si osservi il cambio di passo registrato proprio negli ultimi due anni dalla serie storica dei consumi). Il risultato finale è che in appena quattro anni i consumi finali si sono ridotti di oltre l’11%, riportando il Paese ai livelli della fine anni ’90, e naturalmente ben al di sotto dell’obiettivo indicato al 2020 sia nel PAER che da Confindustria. In questo contesto per poter quantificare la misure di efficienza da mettere in campo (e quindi da finanziare) diventa necessario valutare proprio l’impatto che crisi economica ha avuto sui consumi energetici nazionali. Questo nella interpretazione, condivisa dai due documenti, che l’obiettivo europeo vada calcolato sui valori assoluti dei consumi finali (133 Mtep), che devono quindi rimanere inalterati indipendentemente dalla crisi, e non sulla quota di riduzione dei consumi che le misure di efficienza dovrebbero produrre (31-33 Mtep).

Andamento storico dei consumi finali di energia in Italia e scenari al 2020, in ktep (Fonte: elaborazione su dati Eurostat)

Lo studio di Confindustria stima l’impatto della crisi economica sui consumi finali in Italia in circa 10,1 Mtep al 2020. Questo valore si basa sull’aggiornamento post-crisi dello studio Primes, che individua un nuovo scenario tendenziale al 2020 per il consumo finale di energia in Italia pari a 145,6 Mtep, 20,9 in meno dello scenario 2007. Come riportato nello stesso PAER, lo scenario Primes “tiene conto dell’effetto della crisi economica e delle misure di contenimento dei consumi programmate all’atto della sua pubblicazione”. Secondo Confindustria la differenza tra i due scenari è da ricondurre unicamente alla somma di due componenti: la piena realizzazione degli obiettivi al 2016 del PAEE, pari a 10,8 Mtep, e gli effetti della crisi. Da ciò sia il PAER che lo studio di Confindustria stimano rispettivamente in 12,5 e 9,8 Mtep le ‘ulteriori’ misure di efficienza da dover attivare per traguardare l’obiettivo europeo a scala nazionale.

Proprio su questo passaggio, assolutamente rilevante nella definizione degli impegni in materia di efficienza da qui al 2020, andrebbero forse proposti maggiori approfondimenti. In particolare per verificare che il nuovo scenario da un lato non sopravvaluti la ripresa dei consumi, dall’altro non sottostimi l’effetto dei miglioramenti in materia di efficienza.

Il tasso di crescita medio annuo dei consumi finali ipotizzato dallo scenario aggiornato Primes tra il 2010 e il 2020 è pari a circa l’1,5%: si tratta di un valore molto vicino all’1,6% registrato tra il 1990 e il 2005 in un contesto economico decisamente più favorevole, e addirittura superiore a quello dello stesso scenario Primes pre-crisi (e pre-intervento), nel quale fino al 2020 si ipotizzava un tasso di crescita medio dei consumi dell’1,3%. Questo aspetto andrebbe anche messo in relazione alle – certamente difficili – previsioni sulla crescita economica, che di recente sembrano rivedere al ribasso le stime almeno per il prossimo biennio.

Per quanto riguarda i miglioramenti nel campo dell’efficienza, secondo stime dell’ENEA, tra il 2007 e il 2009 sarebbe stato conseguito circa il 74% dell’obiettivo intermedio 2010 del PAEE, pari a 3 Mtep. Ampliando l’orizzonte temporale, tra il 2005 (anno base per l’obiettivo di efficienza energetica) e il 2009 solo i Certificati Verdi e le Detrazioni fiscali hanno contribuito ad una riduzione dei consumi finali che può essere stimata attorno ai 4 Mtep. Sembrerebbe insomma alla portata il conseguimento degli obiettivi del PAEE al 2016. Ma è difficile pensare che gli interventi previsti dal PAEE esauriscano i miglioramenti effettivi in materia di efficienza che sono stati e verranno conseguiti in Italia da qui al 2020. Ad esempio nei trasporti certamente vi sono altri fattori, oltre all’emissione specifica dei veicoli monitorata nel PAEE, che possono portare ad aumenti anche importanti di efficienza. Secondo l’analisi svolta nell’ambito del progetto Odyssee, sempre a cura dell’ENEA , e basata sull’andamento effettivo dei consumi energetici a partire dal 1990, l’aumento dell’efficienza in questo settore ha contribuito almeno quanto quella connessa ad interventi sull’edilizia. Oltre a questo si possono citare quegli interventi che, pur avendone diritto, non si sono appoggiati al sistema degli incentivi (e quindi non rientrano nella valutazione degli impatti del PAEE), oppure quelli, sembrerebbero sempre più diffusi, che non riguardano innovazioni tecnologiche quanto scelte individuali e stili di vita.

Un’ultima considerazione, ancora di carattere generale, riguarda l’effettiva cumulabilità della proposta di Confindustria con le misure del PAEE, aspetto questo che ci porta a rispondere al quesito successivo.

La ripartizione settoriale degli impegni

Confindustria quota 9 tipologie di intervento che possono contribuire alla riduzione dei consumi energetici. L’articolazione settoriale è diversa rispetto a quella prevista dal PAEE, e questo rende difficile verificarne la effettiva complementarità delle due proposte. A ciò si aggiunge il fatto che non sempre lo studio di Confindustria descrive in modo esplicito gli interventi quotati. A prescindere da queste difficoltà, il rischio di sovrapposizione tra le due proposte appare concreto, e andrebbe verificato con cura. A titolo di esempio si possono citare:

• nei trasporti il potenziale è calcolato sulla base dell’adeguamento al 2020 del parco veicolare ai 130 g/km, ma già il PAEE prevedeva una conversione importante a 140 g/km: 10 g/km di differenza non possono giustificare 2,5 Mtep di ulteriore risparmio, e inoltre già l’efficienza attuale del nuovo sul mercato italiano è vicino al target 2020;

• nell’edilizia residenziale il potenziale (1,1 Mtep) viene calcolato nella ipotesi di mantenere le detrazioni del 55%, che naturalmente sono parte integrante degli strumenti del PAEE (almeno fino al 2016) e che rappresentano i driver anche per gli impianti di riscaldamento/raffrescamento quotati a parte da Confindustria;

• nella illuminazione, limitatamente ai settori industriale e terziario, si prevede di sostituire apparecchi standard con altri efficienti invertendo il rapporto da 84/16 a 27/71: già il PAEE prevedeva una forte penetrazione al 2016 delle tecnologie efficienti (60% nel terziario, 100% nella illuminazione pubblica +60% di regolatori di intensità, 50% nell’industria); le riduzioni dei consumi stimate da Confindustria, inoltre, sono più del doppio di quelle previste dal PAEE.

A prescindere dal fatto che le due proposte siano effettivamente cumulabili, è interessante verificare per quali tipologie di intervento si indicano i potenziali maggiori. Riorganizzando le iniziative del PAEE secondo lo schema di Confindustria, si nota innanzitutto una buona coerenza tra le due proposte che verrà confermata anche nel seguito, ma con alcune differenze non secondarie, come il maggior ruolo nella stima confindustriale dei trasporti e dell’illuminazione (anche tenendo conto di quanto detto sopra) e quello ridimensionato degli impianti di riscaldamento/raffrescamento (caldaie a condensazione pompe di calore).

* sono riportate oltre il 93% delle misure previste, eccetto illuminazione residenziale e compressione vapore
** solo isolamento pareti e vetrature

Da una analisi comparativa per settori aggregati , come già anticipato, si conferma la coerenza tra le due proposte, più di quanto forse ci si aspetterebbe ad una prima lettura. In proporzione i potenziali indicati per il Terziario e il Residenziale sono all’incirca equivalenti, mentre le stime di Confindustria tendono a valutare potenziali maggiori per i Trasporti a scapito dell’Industria.

Osservando la ripartizione per usi finali (trasporti, elettrico e calore) si nota come, oltre ai consumi per i trasporti, Confindustria ipotizzi maggiori risparmi negli usi elettrici. Anche il PAER fornisce una disaggregazione per usi finali: rispetto al PAEE ridimensiona i risparmi che possono essere conseguiti sul lato calore e in particolare, ancor più che nella proposta di Confindustria, valorizza i risparmi che possono essere conseguiti nel settore dei trasporti.

Ripartizione dei potenziali di riduzione dei consumi energetici finali per settore e per tipo di utilizzo (Fonte: elaborazione su dati Confindustria e Ministero dello Sviluppo Economico)

In linea generale le due proposte di Confindustria e del PAER risultano maggiormente in linea con i risultati effettivamente conseguiti con le politiche generali di efficienza messe in atto fino ad oggi. Come accennato infatti i trasporti sembrerebbero aver contribuito in misura importante alla riduzione dei consumi energetici, con valori paragonabili a quelli raggiunti da Certificati bianchi e Detrazioni fiscali. D’altro canto i Certificati bianchi, che hanno fatto il grosso del risparmio esclusi i trasporti, hanno visto una ampia maggioranza, ben il 75%, di interventi sulle utenze elettriche. Se da un lato questi elementi sembrerebbero giocare a favore delle proposte successive al PAEE, dall’altro bisogna tener conto anche della progressiva saturazione dei margini di efficientamento che potrebbero favorire in una fase successiva proprio gli interventi sul lato calore. I processi di modernizzazione del parco veicolare e la sostituzione di elettrodomestici e sistemi di illuminazione con tecnologie ad alta efficienza sono infatti giunti a buon punto, e le evoluzioni successive difficilmente potranno garantire gli stessi incrementi unitari di efficienza.

Ripartizione per tipologie di intervento dei risparmi conseguito con il meccanismo dei Certificati Bianchi, in %, e con le Detrazioni Fiscali del 55%, in valore assoluto (Fonte: AEEG, ENEA)

Naturalmente il mix degli interventi dipende da una serie di fattori, a cominciare dai potenziali tecnici teorici per arrivare alla redditività degli interventi, cosa che porta a rispondere all’ultimo dei quesiti formulati.

Costi e i benefici dell’efficienza

In premessa è stato osservato come uno dei principali meriti dello studio di Confindustria sia stato proprio quello di aver confermato come le misure di risparmio energetico presentino un bilancio costi-benefici largamente positivo, sia dal punto di vista economico che occupazionale. È importante precisare a questo proposito come il bilancio proposto non abbia incluso la monetizzazione delle esternalità negative, che avrebbero ulteriormente inciso in senso positivo. Si tratta di una analisi basata su flussi monetari reali, pur se stimati, inclusi quelli relativi alla riduzione delle emissioni di gas serra, che evita al Paese di ricorrere all’acquisto di permessi di emissione nell’ambito delle politiche di lotta al cambiamento climatico.

In termini ambientali il bilancio non può che essere positivo, ma per alcuni versi l’impatto delle misure di efficienza potrebbe sorprendere per rilevanza. Al 2020 la realizzazione del piano di Confindustria porterebbe alla riduzione delle emissioni di gas serra di oltre 39 MtCO2eq, a cui andrebbero aggiunte le circa 34 MtCO2eq derivanti dalle misure del PAEE. Nella ipotesi, da confermare, di cumulabilità dei due Piani sarebbe quindi possibile attribuire alle misure di efficienza un potenziale di riduzione delle emissioni di gas serra di 73 MtCO2eq tra il 2005 e il 2020. Si tratta di circa il 13% delle emissioni nazionali registrate nel 2005 e del 21% di quelle del solo settore ETS, ben oltre quindi gli obiettivi stabiliti per l’Italia. A titolo di confronto la riduzione attesa dalla promozione delle fonti rinnovabili elettriche nello stesso periodo è poco superiore ai 20 MtCO2eq.

Tornando all’analisi più strettamente economica, naturalmente non tutte le componenti del Paese presentano singolarmente un bilancio positivo. In particolare al settore pubblico viene richiesto un impegno notevole, con oltre 24 mld€ di incentivi da distribuire in dieci anni, e un saldo negativo per le casse dello stato di circa 16 mld€, a fronte di 31 mld€ risparmiati dal sistema energetico nazionale (riduzione della bolletta+emissioni serra evitate). Sarebbe peraltro interessante chiarire meglio quanto dell’onere complessivo degli investimenti sia a carico dell’utente finale, nonché quali siano i ritorni economici diretti per questo particolare soggetto (che ad esempio guadagnerà dai risparmi in bolletta ma di certo non risentirà direttamente del mancato acquisto di permessi di emissioni). Certo sembrerebbe il beneficio diretto per il settore produttivo, che potrebbe contare su una nuova domanda di beni efficienti pari a 130 mld€.

Di estremo interesse, infine, risulta la possibilità di confrontare, sulla base di una unica metodologia, le prestazioni stimate nei diversi ambiti di intervento, come si vedrà tutt’altro che omogenee. A tale scopo le performance sono state valutate in termini di risparmio conseguito, di riduzione delle emissioni di gas serra e di nuova occupazione generata; questi parametri sono stati rapportati sia al volume degli incentivi erogati dallo Stato che al costo stimato per gli interventi.

Per quanto riguarda il risparmio energetico conseguito al 2020, la massima efficienza economica in relazione all’investimento risulta garantita dalle pompe di calore, con quasi 3.400 tep risparmiati al 2020 per ogni M€ di investimento. Anche caldaie a condensazione e illuminazione presentano valori elevati, tra 400 e 500 tep/M€, seguiti dalla sostituzione dei motori e inverter a più di 100 tep/M€. Tutti gli altri interventi si posizionano decisamente più in basso, tra 40 e 50 tep/M€. Rapportando il risparmio all’incentivo statale le cose cambiano un po’, anche se non sostanzialmente: naturalmente migliorano nettamente le prestazioni di quegli interventi per i quali sono indicati da Confindustria bassi contributi rispetto all’aumento della domanda previsto, come nel caso di UPS e illuminazione.

Le prestazioni in termini di abbattimento di gas serra sono naturalmente strettamente correlate ai risparmi conseguiti, anche se il rapporto tra i due termini può variare anche in maniera significativa, principalmente in funzione della componente elettrica del consumo. Le misure più efficienti per la riduzione delle emissioni sono quindi le stesse indicate per l’abbattimento dei consumi, con un maggior peso della cogenerazione. È interessante notare come i trasporti e l’edilizia risultino gli ambiti di intervento meno convenienti in questo senso.

Diversa la valutazione se si misurano gli effetti occupazionali degli investimenti. In questo caso l’edilizia si dimostra il settore a maggiore intensità di manodopera per euro investito: oltre 17 unità lavorative standard per M€ investito. Il dato risulta peraltro in linea con studi analoghi sull’efficienza in edilizia . Gli altri settori risultano tutti abbastanza vicini, con quello dell’illuminazione che viceversa presenta valori inferiori alla media di quasi un ordine di grandezza. I risultati cambiano anche in modo sostanziale rapportando l’occupazione ai contributi statali. Come per gli altri casi ciò dipende ovviamente dalle ipotesi di Confindustria sui meccanismi adottati per le varie misure: in questo senso appare evidente come quelle in detrazione risultino decisamente le più svantaggiate. Nell’ultima colonna è riportato il numero di nuovi occupati per ogni t di CO2 abbattuta, confermando il cospicuo vantaggio degli interventi in edilizia.

Caratterizzazione degli interventi previsti da Confindustria in termini di efficienza economica (Fonte: elaborazione su dati Confindustria)

Analisi di questo tipo potrebbero dare alcune indicazioni utili nella pianificazione del mix di interventi, selezionando le misure in funzione delle politiche che si intende perseguire (almeno nel breve o medio termine): nel caso in cui si ricerchi principalmente il massimo risultato ambientale, saranno privilegiati interventi come le pompe di calore o l’illuminazione, che viceversa sono i meno indicati nell’ottica delle politiche di occupazione, maggiormente favorite da edilizia e trasporti. La proposta di Confindustria, se misurata attraverso questi due metri di giudizio, risulta abbastanza equilibrata, con il 40% del risparmio concentrato sui settori labour intensive, e un altro 40% su settori con elevati impatti ambientali (illuminazione , pompe di calore e caldaie a condensazione).

 


Commenti

Una replica a “Le prospettive dell’efficienza energetica al 2020 in Italia: analisi della proposta di Confindustria”

  1. PRODUZIONE DA ENERGIA RINNOVABILE

    La produzione d’energia, in qualsiasi tipo di applicazione, non prescinde e non può essere valutata, (detta produzione), se non tramite il valore del suo rendimento produttivo. Il significato della parola rendimento applicato ai pannelli solari Fotovoltaici, da un rendimento del 12/14%, quello dell’Eolico su terra rende un 18/20%, l’Eolico di zone estreme nei mari del nord (off shore), rende il 27/30%. Le centrali atomiche Europee hanno un rendimento, (dati reperibili presso le agenzie di riferimento), del 60%.
    Questi di massima sono alcuni dei valori delle rinnovabili e non, quindi posto un valore 100 d’istallazione, in base al rendimento possiamo valutare giornalmente anche il rendimento MEDIO, di un qualsiasi impianto, ed in relazione al suo costo di realizzazione stabilire i tempi di ammortamento; in parole povere più il sistema produce, più veloce sarà il rientro economico dell’investitore.
    Se, infatti, prendiamo l’esempio del fotovoltaico e dell’eolico in mare, posto che il fotovoltaico produca il 15% e l’eolico il 30%, vediamo che, a grandissime linee, questo corrisponde, (in relazione alle vigenti tariffe GSE), all’ammortamento di 10/14 anni a secondo delle regioni d’istallazione per il fotovoltaico, e di 6 anni circa per l’eolico.
    Questi valori, di carattere generale, vengono utilizzati per calcolare i valori medi, predisporre i piani produttivi Nazionali e Internazionali in relazione ai grafici dell’andamento delle istallazioni e loro produzione effettivamente messa in rete, oltre all’elaborazione di una serie di documenti, a “CASCATA”, che derivano dallo studio dell’insieme di tutte le fonti alternative e rinnovabili presenti a livello nazionale e non.
    Da questi studi ne consegue che gli obbiettivi previsti dalla Comunità Europea per il 2010 sono stati mancati, e i dati previsionali per il 2020, (in relazione alle tecnologie sopra illustrate), non consentiranno di raggiungere, (nemmeno per quel periodo), i valori previsti di riduzione delle emissioni nocive di CO2.
    Di recente sappiamo soltanto che sono prevedibili incrementi dei consumi, quindi a breve crescerà la richiesta d’energia d’importazione che l’Italia paga agli stati Europei.
    Ne consegue che in ogni caso, pagando il costo dell’energia ad un valore triplo rispetto ad altre nazioni, che comunque perseguono in modo più efficace e da maggior tempo, rispetto all’Italia, le linee di efficienza energetica, avremo sempre il problema della produzione globale, a livello Nazionale, d’energia.
    Non a caso inizialmente, oltre alle fonti rinnovabili, è stato inserito il dato della resa produttiva delle centrali atomiche Europee, poiché tale valore è utilizzato per cercare di far comprendere la necessità di utilizzare una tecnologia che produce il doppio rispetto alla migliore tecnologia da rinnovabile, (EOLICA OFF SHORE RESA DEL 30 %, PERÒ NEI MARI DEL NORD), prescindendo però dal reale valore di altre tecnologie più produttive!
    Nell’immediatezza delle valutazioni, prestazioni, relazioni, proposte, dati provenienti dalle varie agenzie, nel complessivo detti parametri portano ad errate valutazioni!
    Portando un banale esempio, è come se si considerasse, (come già accaduto in passato), la sola necessità di produrre con il fotovoltaico, escludendo la tecnologia eolica perché troppo innovativa, ed allora giù dati che si riferiscono ad un’unica tecnologia.
    È sicuramente preferibile un passo indietro, considerare in modo serio proposte di tecnologie innovative, valutarne prestazioni e rese, affidando a competenti Università e relativi dipartimenti la serietà delle proposte!
    Se, infatti, la prospettiva è di una maggiore efficienza della produzione, mancata emissione di qualsiasi forma inquinante, radioattiva, CO2, introiti ed utilizzo delle aziende italiane di quote di tale mancata emissione/produzione di CO2, riduzione dei costi d’istallazione, basso impatto ambientale, maggiore produzione anche rispetto alle centrali nucleari, si pone un unico problema? Perché non adottare questa tecnologia? Servono forse terreni posti in posizioni favorevoli? Zone montane ventose? Bacini collocati in zone montane particolari, od altro?
    Serve semplicemente una richiesta in sei copie da inoltrare al Demanio, che farà pagare una tassa inferiore ai 400 EURO per ogni 1.000 metri quadrati effettivamente utilizzati di superficie marina, e a questo punto si potrà istallare la tecnologia da rinnovabile più performante a livello mondiale, che in una recente competizione a messo alle spalle oltre trecento aziende tra cui SAMSUNG ed LG, che sta coinvolgendo due Università, di cui una a livello Italiano, fra l’altro con capacità riconosciute a livello Internazionale.
    Tale tecnologia riuscirebbe anche con modesto moto ondoso, di 50 centimetri, a produrre sempre e comunque con rese per sistema del 60%, intendendo come resa esattamente la percentuale che si utilizza per il fotovoltaico o l’eolico, quindi con capacità minima pari alla produzione massima ottenibile dalle centrali nucleari Europee, anche se con tempi d’istallazione e produzione decisamente inferiore.
    Se la Sig.ra Marcegaglia, Presidente di Confindustria, vuole valutare il progetto che potrebbe essere di grande utilità per le aziende Italiane, trattandosi di sistema strategico, (in particolare tutti i sistemi di produzione d’energia), in considerazione che trattasi di tecnologia che può creare favorevoli situazioni occupazionali a livello Nazionale per la sua produzione, istallazione, manutenzione, per quelle aree geografiche toccate dal mare, (praticamente l’intero territorio Nazionale), chissà, forse questa tecnologia già avallata all’estero, grazie alle competenze dell’Università Italiana di cui sopra, potrebbe essere validamente utilizzata anche sul nostro territorio Nazionale, dato che trattasi di tecnologia Italiana.
    L’ultimo appunto è per quelli che pensano che tale tecnologia non possa essere validamente applicata, ad esempio, a Carpi; non significa nulla il fatto che se un paese, oppure una città, pur non trovandosi vicino al mare, non possano beneficiare di questo tipo di produzione; esistono, infatti, aziende che producono Biogas e generano con esso energia, in Lombardia, e tale energia è venduta in Svizzera o in Austria, quindi generare energia a Imperia non significa che tale energia non possa essere comprata dai servizi municipalizzati di qualsiasi altra città Italiana o Industria Italiana.
    luoar@libero.it

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