Berlusconi scrive a Bersani:

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«Piano bipartisan per la crescita»
La proposta di Berlusconi. Offerta a Bersani: agiamo insieme. Il presidente del Consiglio contro le elezioni

di SILVIO BERLUSCONI
Gentile direttore,
il suo giornale ha meritoriamente rilanciato la discussione sul debito pubblico mostruoso che ci ritroviamo sulle spalle da molti anni, sul suo costo oneroso in termini di interessi annuali a carico dello Stato e sull’ostacolo che questo gravame pone sulla via della crescita economica del Paese. Sono d’accordo con le conclusioni di Dario Di Vico, esposte domenica in un testo analitico molto apprezzabile che parte dalle due proposte di imposta patrimoniale, diversamente articolate, firmate il 22 dicembre e il 26 gennaio da Giuliano Amato e da Pellegrino Capaldo. Vorrei brevemente spiegare perché il no del governo e mio va al di là di una semplice preferenza negativa, «preferirei di no», ed esprime invece una irriducibile avversione strategica a quello strumento fiscale, in senso tecnico-finanziario e in senso politico.

Prima di tutto, se l’alternativa fosse tra un prelievo doloroso e una tantum sulla ricchezza privata e una poco credibile azione antidebito da «formichine», un gradualismo pigro e minimalista nei tagli alla spesa pubblica improduttiva e altri pannicelli caldi, staremmo veramente messi male. Ma non è così. L’alternativa è tra una «botta secca», ingiusta e inefficace sul lungo termine, e perciò deprimente per ogni prospettiva di investimento e di intrapresa privata, e la più grande «frustata» al cavallo dell’economia che la storia italiana ricordi. Il debito è una percentuale sul prodotto interno lordo, sulla nostra capacità di produrre ricchezza. Se questa capacità è asfittica o comunque insufficiente, quella percentuale di debito diventa ingombrante a dismisura. Ma se riusciamo a portare la crescita oltre il tre-quattro per cento in cinque anni, e i mercati capiscono che quella è la strada imboccata dall’Italia, Paese ancora assai forte, Paese esportatore, Paese che ha una grande riserva di energia, di capitali, di intelligenza e di lavoro a partire dal suo Mezzogiorno e non solo nel suo Nord europeo e altamente competitivo, l’aggressione vincente al debito e al suo costo annuale diventa, da subito, l’innesco di un lungo ciclo virtuoso.

Per fare questo occorre un’economia decisamente più libera, poiché questa è la frustata di cui parlo, in un Paese più stabile, meno rissoso, fiducioso e perfino innamorato di sé e del proprio futuro. La «botta secca» è, nonostante i ragionamenti interessanti e le buone intenzioni del professor Amato e del professor Capaldo, una rinuncia statalista, culturalmente reazionaria, ad andare avanti sulla strada liberale. La Germania lo ha fatto questo balzo liberalizzatore e riformatore, lo ha innescato paradossalmente con le riforme del socialdemocratico Gerhard Schröder, poi con il governo di unità nazionale, infine con la guida sicura e illuminata di Angela Merkel. E i risultati sono sotto gli occhi di tutti: la locomotiva è ripartita. Noi, specialmente dopo il varo dello storico accordo sulle relazioni sociali di Pomigliano e Mirafiori, possiamo fare altrettanto.

Non mi nascondo il problema della particolare aggressività che, per ragioni come sempre esterne alla dialettica sociale e parlamentare, affligge il sistema politico. Ne sono preoccupato come e più del presidente Napolitano. E per questo, dal momento che il segretario del Pd è stato in passato sensibile al tema delle liberalizzazioni e, nonostante qualche sua inappropriata associazione al coro strillato dei moralisti un tanto al chilo, ha la cultura pragmatica di un emiliano, propongo a Bersani di agire insieme in Parlamento, in forme da concordare, per discutere senza pregiudizi ed esclusivismi un grande piano bipartisan per la crescita dell’economia italiana; un piano del governo il cui fulcro è la riforma costituzionale dell’articolo 41, annunciata da mesi dal ministro Tremonti, e misure drastiche di allocazione sul mercato del patrimonio pubblico e di vasta defiscalizzazione a vantaggio delle imprese e dei giovani.

Lo scopo indiretto ma importantissimo di un piano per la crescita fondato su una frustata al cavallo di un’economia finalmente libera è di portare all’emersione della ricchezza privata nascosta, che è parte di un patrimonio di risparmio e di operosità alla luce del quale, anche secondo le stime di Bruxelles, la nostra situazione debitoria è malignamente rappresentata da quella vistosa percentuale del 118 per cento sul Pil. Prima di mettere sui ceti medi un’imposta patrimoniale che impaurisce e paralizza, un’imposta che peraltro sotto il mio governo non si farà mai, pensiamo a uno scambio virtuoso, maggiore libertà e incentivo fiscale all’investimento contro aumento della base impositiva oggi nascosta. Se a questo aggiungiamo gli effetti positivi, di autonomia e libertà, della grande riforma federalista, si può dire che gli atteggiamenti faziosi, ma anche quelli soltanto malmostosi e scettici, possono essere sconfitti, e l’Italia può dare una scossa ai fattori negativi che gravano sul suo presente, costruendosi un pezzo di futuro.
*presidente del Consiglio

 


Commenti

2 risposte a “Berlusconi scrive a Bersani:”

  1. Commento de l’Unità:

    Ora Berlusconi chiede aiuto a Bersani

    Silvio Berlusconi è in difficoltà e questo è ormai assodato. Non si spiegherebbe altrimenti il contenuto e la forma della sua lettera pubblicata oggi sul Corriere della Sera e indirizzata al segretario del Pd Pier Luigi Bersani.


    Si potrà anche ironizzare su certe espressioni del premier, arrivate dopo giorni di verbali a luci rosse. Così come quando scrive di voler dare una “frustata” all’Italia oppure di non amare la “botta secca” per il Paese.

    Ma gli elementi che più fanno riflettere della lettera politica e programmatica di Berlusconi sono altri. Il presidente del Consiglio invita il leader dell’opposizione a stringere un patto bipartisan per far ripartire l’economia, ma lo fa fuori tempo massimo. Già mesi, ormai anni fa, era stato proprio Bersani a spronare l’esecutivo a darsi da fare per l’economia stagnante dell’Italia. E Berlusconi aveva sempre risposto parlando d’altro, di un’economia in salute o di giudici che lo perseguitavano.

    Ma non solo. Berlusconi nella sua lettera arriva a blandire Bersani (“uomo dalla cultura pragmatica dell’emiliano”) dopo avergliene dette di tutti i colori in passato. E quello che appare più beffardo è il richiamo e l’invito a riprendere il processo di liberalizzazione dell’economia italiana che proprio Bersani aveva avviato da ministro dell’Economia (dalla portabilità dei mutui senza spese agli interventi sulle professioni) e che Berlusconi e i suoi alleati, allora all’opposizione, avevano osteggiato in tutti i modi. Il Paese e i cittadini romani in particolare non potranno dimenticare, ad esempio, le proterve manifestazioni dei tassisti che osteggiavano le proposte di Bersani.

    Insomma, un Berlusconi che si riscopre liberale e favorevole alle liberalizzazioni oltre ogni possibile credibilità, un Berlusconi che lusinga Bersani dopo averlo insultato a più riprese, un un Berlusconi che invoca la collaborazione parlamentare dopo aver a lungo ignorato il Parlamento, un Berlusconi che si richiama a Napolitano dopo averlo aggredito in diverse occasioni, appare un Berlusconi in grande difficoltà.

    31 gennaio 2011

     

  2. Dal corriere.it:

    Le risposte dell’opposizione alla lettera di Berlusconi

    «Sì al confronto, ma il premier lasci»
    Letta: «Tempo scaduto». Rutelli: «Un inganno». Cesa: «Il Cavaliere fa autocritica, meglio tardi che mai»

    Enrico Letta MILANO – Ha suscitato numerose e molteplici reazioni la proposta di Silvio Berlusconi, contenuta in una lettera al Corriere, di un piano bipartisan per la crescita. Il Pdl parla di «gesto di responsabilità» e confida nel fatto che l’iniziativa del Cavaliere possa aprire una fase nuova della legislatura. Il leader del Pd Pier Luigi Bersani, al quale il premier chiede di «agire insieme», non ha ancora replicato. Ma un mezzo «no» Berlusconi lo incassa subito da Enrico Letta. La proposta del presidente del Consiglio, secondo il vicesegretario dei democratici, «arriva a tempo scaduto» e dimostra semmai la sua «disperazione», quella di chi cerca un «diversivo». «Su quei temi ci confronteremo o con un altro premier di centrodestra, o con Berlusconi in campagna elettorale», chiarisce anche Letta, ribadendo la richiesta al Cavaliere di fare un passo indietro. Se confronto Berlusconi-Bersani ci deve essere, secondo l’esponente Pd, questo deve comunque avvenire «in televisione, oggi, subito, sui temi centrali della vita politica del Paese. Questo sarebbe un modo per non buttare la palla in calcio d’angolo e per andare dagli italiani e affrontare le questioni reali». Entrando più nel merito della proposta del capo del governo, Letta aggiunge di non credere che il problema sia l’articolo 41, «ma il fatto che sulle liberalizzazioni questo governo di centrodestra ha fatto ampi passi indietro».
    LE OPPOSIZIONI – Per Stefano Fassina, responsabile economico del Partito democratico «quella del presidente del Consiglio è pura propaganda e anche di pessima qualità, perché ormai il personaggio ha perso ogni credibilità». Intervistato da Affaritaliani.it, Fassina ricorda che quella del premier è una proposta che i democratici hanno avanzato al capo dell’esecutivo «all’inizio della legislatura e Berlusconi e il suo governo si sono guardati bene da corrispondervi». Chiude le porte all’idea di un patto bipartisan per la crescita l’Italia dei Valori. Nello Formisano, vicepresidente Idv della Commissione Bicamerale per la Semplificazione, giudica la proposta de Cavaliere come «un tardivo segnale di resipiscenza operosa».

    TERZO POLO – La proposta del premier non convince neanche il Terzo Polo. «È un inganno», attacca il leader di Api Francesco Rutelli. «Berlusconi – sottolinea – è al potere da 8 degli ultimi dieci anni, perché non ha fatto le riforme?». Per Rutelli l’Italia ha bisogno di una larga coalizione e «tutte queste schermaglie politiche e gli scandali sessuali non affrontano il nodo di sostanza, e cioè che il Paese è fermo». Meno critico il leader Udc Lorenzo Cesa, secondo il quale la proposta di un piano bipartisan per la crescita mostra che «Berlusconi sembra rendersi conto che l’Italia cresce meno degli altri paesi europei e che questo si traduce in maggiore disoccupazione per i giovani e le donne in particolare». Cesa però è convinto anche che il Cavaliere «dimentica la timidezza e la reticenza con cui il suo governo in questi tre anni ha affrontato la questione». «Se oggi è pronto all’autocritica – conclude comunque il leader dei centristi – non possiamo che prenderne atto con soddisfazione- conclude- meglio tardi che mai».

    IL MONDO DELLA FINANZA – Il mondo dell’economia e della finanza è unanime nel ritenere che la crescita sia la priorità dell’Italia, ma non si sbilancia sull’appello di Berlusconi. «Di puntare ad un livello di crescita superiore lo diciamo da anni – ha detto Corrado Passera, consigliere delegato di Intesa – Servono azioni coerenti. La crescita ha priorità rispetto alla patrimoniale». Per il presidente di Bnl e di Assonime, Luigi Abete,«serve una grande proposta di riforma fiscale con cui affrontare le tematiche nella loro complessità, serve un riequilibrio delle imposte dirette e indirette per evitare anche che ci sia il rischio di una patrimoniale eccessiva». Il presidente di Assonime si è detto contrario «alla patrimoniale come una tantum perché non risolve il problema del debito e sarebbe punitiva e ingiusta». Tuttavia, ha aggiunto, «la patrimoniale non deve essere un tabù e va fatta nel quadro del riequilibrio delle imposte con una riforma fiscale», su cui c’è già una proposta di Assonime.

    Redazione online

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